La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 20980 del 13 settembre 2013, ha riconosciuto la correttezza del ragionamento seguito dai Giudici che avevano emesso la pronuncia impugnata dalla società contribuente.
In particolare, i Giudici di appello si erano perfettamente uniformati agli insegnamenti espressi dalla Suprema Corte riguardo al tema dei presupposti richiesti al contribuente per usufruire del beneficio della non imponibilità delle operazioni intracomunitarie, in base ai quali l’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario, cioè l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro, grava sul contribuente cedente, che emette la fattura e non applica l’imposta nei confronti del cessionario, dichiarando che l’operazione non è imponibile.
Ancora, la Corte di Cassazione ha ricordato che risulta indispensabile, e anche ciò è stato correttamente evidenziato dal Giudice di secondo grado, il trasferimento in un altro Paese membro dell’Unione Europea, affinché si possa usufruire della non imponibilità. L’elemento della movimentazione fisica dei beni oggetto di cessione nel territorio dello Stato membro del cessionario deve costituire elemento strutturale della fattispecie, così che la mancanza impedisce il riconoscimento del carattere “intracomunitario” dell’operazione.
Deve, inoltre, escludersi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario. Deve, invece, affermarsi il dovere del cedente di impiegare la normale diligenza richiesta ad un soggetto che pone in essere una transazione commerciale e, quindi, di verificare con la diligenza dell’operatore commerciale professionale le caratteristiche di affidabilità della controparte. Dovrà, quindi, procurarsi i mezzi di prova adeguati alle necessità, capaci se non di dimostrare, quanto meno di non lasciare dubbi circa l’effettività dell’esportazione e circa la sua buona fede in ordine a tale dato.
La Corte di Cassazione ha, ancora, ricordato la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 25 marzo 2013 nella quale è stato precisato che i documenti utili al fine di ritenere provato il trasferimento fuori del Paese in cui si trova il cedente devono comprovare che vi è stata la cosiddetta movimentazione fisica della merce, che deve aver raggiunto un altro Stato membro. Tali documenti possono dirsi idonei a fornire prova della cessione intracomunitaria se conservati congiuntamente alle fatture di vendita, alla documentazione bancaria attestante le somme riscosse in relazione alle cessioni, alla documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti e agli elenchi Intrastat.
Il documento di trasporto CMR può costituire prova idonea se dallo stesso risulti l’uscita delle merci dal territorio dello Stato per l’inoltro ad un soggetto passivo d’imposta identificato in un altro Paese comunitario.
Riguardo ancora al tipo di prova adeguato, la Suprema Corte ha affermato che non è quello diretto ad escludere la malafede, ma è quello diretto a provare l’effettività dell’esportazione e, qualora sia invece provato e ammesso che tale esportazione non vi sia stata, a provare che il cedente è stato tratto in inganno nonostante avesse adottato le opportune cautele per evitare tale aggiramento.
a cura dell’Avv. Raffaella De Vico.