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14 Ottobre 2016

Contributo integrativo dovuto dai professionisti alle Casse: non è deducibile dal reddito

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Spese deducibili o meno dal reddito complessivo dei professionisti. Una pronuncia della Corte di Cassazione fornisce delle indicazioni in merito, in particolare, alla deducibilità del contributo integrativo dovuto dal professionista alla Cassa di previdenza di appartenenza.

Nel caso specifico, il contribuente aveva impugnato la cartella di pagamento con la quale venivano recuperate le imposte dovute per l’anno 2000 a seguito del disconoscimento della deducibilità dal reddito dei contributi integrativi versati, su richiesta dell’EPAP (l’ente gestore della previdenza obbligatoria degli attuari, dei chimici, dei dottori agronomi e forestali e dei geologi), per gli anni dal 1996 al 1999.

In primo e secondo grado erano state accolte le ragioni del contribuente. Questi aveva evidenziato che non aveva provveduto a riscuotere il contributo integrativo dai propri clienti e che, quindi, aveva sostenuto lui stesso la relativa spesa. L’Agenzia delle Entrate aveva, quindi, proposto ricorso in Cassazione.

La Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 20784 del 14 ottobre 2016, ha ricordato che il contributo integrativo, previsto dalla normativa in materia di previdenza obbligatoria dei soggetti che svolgono attività di libera professione, è riscosso direttamente dagli iscritti alle Casse di previdenza all’atto del pagamento delle loro prestazioni da parte dei clienti, previa indicazione del relativo importo nelle fatture emesse.

La Corte di Cassazione ha, altresì, richiamato una propria pronuncia del 2014 nella quale aveva negato che costituisse costo deducibile il contributo integrativo dovuto alla Cassa Nazionale di previdenza ed assistenza per gli iscritti all’Albo dei dottori commercialisti, trattandosi di un onere che non grava sul contribuente professionista, ma è posto dalla legge a carico del cliente dello stesso.

I contributi integrativi sono, infatti, degli oneri previdenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge (e, quindi, astrattamente deducibili dal reddito complessivo) che non sono sostenuti effettivamente dai contribuenti, ma dai loro clienti (e, quindi, non deducibili).

Secondo quanto concluso dalla Corte di Cassazione, la pretesa del contribuente di dedurre dal proprio reddito il contributo integrativo non trova giustificazione né sotto il profilo logico, né con riferimento ai principi dell’ordinamento giuridico-tributario, trattandosi di un onere che non rimane a carico del contribuente. 

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è stato, pertanto accolto e la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale è stata cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Suprema Corte ha anche deciso nel merito la controversia, rigettando il ricorso introduttivo del contribuente.

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