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Novità Irpef - Ires
23 Novembre 2013

Accertamento secondo gli studi di settore legittimo anche quando il professionista esercita altra attivita’ da dipendente.

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La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 25983 del 20 novembre 2013, ha ricordato i principi sui quali si basa il proprio orientamento in materia di accertamento secondo gli studi di settore.

La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui all’articolo 39 del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello standard, né costituisce una prova contraria, mentre, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata.

La procedura di accertamento in questione costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, ma nasce soltanto all’esito del contraddittorio, da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

In tale sede, il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza delle condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti ai quali possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.

L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il Giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente, che non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte.

In tal caso, però, il contribuente assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio potrà motivare l’accertamento soltanto sulla base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il Giudice potrà valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito.

Tornando al caso di specie, la Corte di Cassazione ha dichiarato infondata l’impugnazione presentata dal contribuente avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale che aveva confermato l’atto di accertamento emesso nei suoi confronti, secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato ed all’esito del contraddittorio regolarmente instaurato con il contribuente.

Il contribuente aveva eccepito l’impossibilità che la sua attività di architetto fosse produttiva di un reddito superiore a quello dichiarato, in quanto aveva ulteriori impegni lavorativi come insegnante e come consigliere comunale.

Il Giudice d’appello, però, (e la Corte di Cassazione gli ha dato ragione) aveva rilevato che lo scostamento tra il reddito dichiarato ed i maggiori compensi accertati era di proporzioni importanti ed aveva ritenuto non meritevoli di accoglimento le ragioni addotte dal contribuente.

Infatti, lo scarso impegno pomeridiano della sua attività di insegnante nell’arco dell’intero anno scolastico e quello, irrisorio, connesso all’attività di consigliere comunale non costituivano elementi ostativi ad un più ampio esercizio dell’attività di architetto. A quest’ultima attività, egli poteva aver dedicato una congrua parte del tempo, con effetti proficui sul piano reddituale, considerata anche la non disprezzabile entità della sua struttura professionale.

a cura dell’Avv. Raffaella De Vico.

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