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10 Ottobre 2014

Prelievi bancari da parte di un lavoratore autonomo: la Corte Costituzionale boccia la presunzione che si tratti di compensi assoggettabili a tassazione

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La Corte Costituzionale, nella Sentenza n. 228 del 6 ottobre 2014, ha affermato un principio molto importante.

La questione di legittimità costituzionale posta all’attenzione della Corte riguardava il testo dell’articolo 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, come modificato dalla Legge Finanziaria per il 2005.

In virtù delle modifiche apportate dalla Legge suddetta, è stato esteso ai lavoratori autonomi l’ambito operativo della presunzione in base alla quale le somme prelevate dal conto corrente (così come quelle versate) costituiscono compensi assoggettabili a tassazione, se non annotate nelle scritture contabili e se non indicati i soggetti beneficiari dei pagamenti.

Secondo il Giudice che ha rimesso la questione dinanzi alla Corte Costituzionale (la Commissione Tributaria Regionale per il Lazio), la disposizione oggetto di censura, se applicata agli anni in corso ed anteriori alla modifica legislativa, comporterebbe per i professionisti un onere probatorio imprevedibile ed impossibile da assolvere.

Inoltre, la presunzione in base alla quale le somme prelevate dal conto corrente costituiscono compensi assoggettabili a tassazione violerebbe il principio della capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione) e l’articolo 3 della Costituzione. Per il reddito da lavoro autonomo, infatti, non varrebbero le correlazioni logico-presuntive tra costi e ricavi tipiche del reddito d’impresa ed il prelevamento sarebbe un fatto oggettivamente estraneo all’attività di produzione del reddito professionale.

Dall’altro lato, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sostenuto la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale.

In particolare, la presunzione di imponibilità delle operazioni di prelevamento, applicabile anche ai lavoratori autonomi, sarebbe ispirata dalla volontà del legislatore  di valorizzare l’analisi, da parte dell’ufficio che effettua l’accertamento, della maggiore capacità di spesa, comunque manifestata e non giustificata dal lavoratore autonomo, e di collegare tale maggiore capacità con le ulteriori operazioni attive effettuate anch’esse presuntivamente “in nero”, nell’ambito dell’attività esercitata.

Inoltre, l’Avvocatura dello Stato ha rilevato che il fondamento economico-contabile del meccanismo presuntivo, che si basa per le imprese prevalentemente sull’acquisto e la vendita di beni, è configurabile anche per i lavoratori autonomi. Infatti, anche per esercitare attività professionali è necessario l’acquisto di beni o di servizi per rendere prestazioni.

La norma censurata, poi, secondo l’Avvocatura dello Stato, andrebbe interpretata, come del resto è stato fatto, nel senso che soltanto movimentazioni di un certo importo possono assumere una valenza presuntiva.

Infine, tale presunzione svolgerebbe una ragionevole funzione deterrente in quanto indurrebbe i professionisti, allo stesso modo che per gli imprenditori, a prestare attenzione ad una coerente corrispondenza tra i movimenti bancari, compresi i prelievi in conto corrente, e le registrazioni contabili.

La Corte Costituzionale si è pronunciata, riconoscendo la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, in particolare con riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione.

La Corte ha affermato che anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo sono, per molti versi, affini nel diritto interno e nel diritto comunitario, esistono delle specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dalla norma censurata, in base alla quale anche per tale categoria il prelevamento dal conto corrente corrisponderebbe ad un costo, a sua volta produttivo di un ricavo.

La Corte ha spiegato che, secondo tale doppia correlazione, la somma prelevata, in assenza di giustificazione, dovrebbe ritenersi che sia stata utilizzata per l’acquisizione, non contabilizzata o non fatturata, di fattori produttivi e che tali fattori abbiano poi prodotto beni o servizi venduti a loro volta senza essere contabilizzati o fatturati.

A tal proposito, la Corte ha ricordato che il fondamento economico-contabile di tale meccanismo è stato ritenuto, dalla Corte medesima, con una pronuncia del 2005, congruente con l’andamento dell’attività imprenditoriale. Tale andamento, infatti, è caratterizzato dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi, in vista di futuri ricavi.

L’attività svolta dai lavoratori autonomi, invece, si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo.

Inoltre, la non ragionevolezza della presunzione è avvalorata, secondo la Corte Costituzionale, dal fatto che eventuali prelevamenti si inseriscono in un sistema di contabilità semplificata del quale generalmente si avvale la categoria. Da tale assetto contabile deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali.

La Corte, infine, ha evidenziato che l’esigenza di combattere l’evasione fiscale nel settore ha trovato risposta nelle recente normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari.

La presunzione in questione viene ad essere, pertanto, lesiva del principio di ragionevolezza e del principio della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo, a sua volta, sia produttivo di un reddito.

La Corte Costituzionale ha, quindi, concluso per l’illegittimità costituzionale dell’articolo 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dalla Legge Finanziaria per il 2005, nella parte in cui fa riferimento ai compensi, estendendo così la presunzione suddetta ai lavoratori autonomi.

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