La Corte di Cassazione, nell’Ordinanza n. 6947 del 25 marzo 2014, ha affermato che incombe sul contribuente che invochi il riconoscimento di un credito d’imposta l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del medesimo credito. A tal fine, non è sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione poiché il credito fiscale non nasce dalla dichiarazione, ma dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo.
Pertanto, secondo la Suprema Corte, nel caso di specie, la società ricorrente avrebbe dovuto fornire la prova dell’esistenza del credito d’imposta mediante esibizione quanto meno del bilancio di esercizio, non essendo sufficiente la mera indicazione del credito nella dichiarazione.
Inoltre, la Corte di Cassazione ha rilevato che, in caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale (nel caso in esame, la dichiarazione era stata presentata diverso tempo dopo), viene a perdersi definitivamente il diritto di avvalersi delle eccedenze maturate a credito per quell’anno, portandole in detrazione per gli anni successivi. Infatti, l’omessa dichiarazione vale come mancato computo.
Al riguardo, non ha nessuna efficacia sanante della omessa presentazione l’eventuale pagamento dell’oblazione ai sensi dell’articolo 58, quarto comma, del Decreto in materia di Iva, poiché tale norma consente al contribuente, con il pagamento entro certi termini del sesto del massimo della pena prescritta per la violazione, esclusivamente di evitare l’irrogazione della sanzione, e non anche la salvezza di quelli che sarebbero stati gli effetti della dichiarazione non presentata, tra i quali, appunto, la possibilità di portare successivamente in detrazione crediti d’imposta non computati.
Nel caso di specie, la società contribuente aveva impugnato la cartella di pagamento riguardante il mancato riconoscimento di un credito d’imposta per l’Irpeg. In primo grado le era stata data ragione. L’Agenzia delle Entrate aveva poi impugnato la decisione della Commissione Provinciale ed i Giudici di secondo grado avevano accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.
Nella pronuncia emessa da quest’ultimi era stato osservato che la documentazione prodotta dalla società contribuente non forniva alcuna prova del diritto rivendicato. La ricorrente, invece, sosteneva che la Commissione Tributaria Regionale non aveva correttamente considerato che il diritto relativo al credito d’imposta doveva ritenersi acquisito, essendo stato riportato nella dichiarazione dei redditi dell’anno d’imposta, anche se pervenuta all’Agenzia delle Entrate con un ritardo di circa quattro anni.
Come detto, la Corte di Cassazione ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate, respingendo il ricorso della contribuente.