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Saggi
15 Settembre 2012

Gli accordi dei coniugi in sede di separazione e divorzio e le conseguenze sul piano fiscale

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 divorzio

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Diverse sono le questioni di rilevanza fiscale che possono sorgere in conseguenza dell’esecuzione di accordi conclusi dai coniugi in sede di separazione e divorzio. L’Agenzia delle Entrate si è recentemente occupata di alcune di esse.

In particolare, in una propria Circolare del 21 giugno 2012, l’Agenzia delle Entrate, riportando una serie di risposte a quesiti che le sono state posti in materia di imposta di registro, ha fornito delle importanti indicazioni riguardo all’applicazione dell’esenzione da tassazione per gli atti di trasferimento in favore dei figli effettuati nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio.

A tal proposito, si ricorda che l’articolo 19 della Legge n. 74 del 1987 (la Legge sul divorzio) stabilisce che “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio (in caso di matrimonio civile) o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (in caso di matrimonio concordatario) nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (assegno di mantenimento del coniuge ed assegno di mantenimento dei figli), sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”.In riferimento alla medesima questione, assume rilevanza la pronuncia della Corte Costituzionale n. 202 dell’11 giugno 2003 nella quale la Corte medesima, richiamando proprie precedenti sentenze del 1992 e del 1999 sempre relative all’articolo 19 della Legge n. 74 del 1987, ha affermato che “il parallelismo, le analogie e la complementarietà funzionale dei procedimenti di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e del procedimento di separazione dei coniugi sotto i profili che rilevano ai presenti fini (profili tributari), […] portano anche in questo caso a concludere che il profilo tributario non può ragionevolmente riflettere un momento di diversificazione delle due procedure, atteso che l’esigenza di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale, che motiva e giustifica il beneficio fiscale con riguardo agli atti del giudizio divorzile, è con ancora più accentuata evidenza presente nel giudizio di separazione”. Ciò “anche in considerazione dell’esigenza di agevolare, e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio, sul coniuge non affidatario della prole”. Quindi, deve ritenersi che la disciplina dell’esenzione dalla tassazione, di cui all’articolo 19 della Legge sul divorzio, trovi applicazione anche in riferimento ai procedimenti di separazione dei coniugi.

Inoltre, l’esenzione in questione riguarda sia gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi ai rapporti tra coniugi, sia gli atti, i documenti ed i provvedimenti riguardanti i figli. E’ questa, infatti, la posizione assunta dalla Corte Costituzionale e l’orientamento prevalente della Corte di Cassazione.

La Corte Costituzionale, nella pronuncia sopra richiamata (n. 202 dell’11 giugno 2003) ha, infatti, affermato che “l’esenzione tributaria [disposta in tema di atti recanti condanna al pagamento di somme in materia di procedimenti relativi ai giudizi di separazione e divorzio] ricomprende anche i provvedimenti relativi alla prole, come è dimostrato dal richiamo, nell’art. 19 della legge n. 74 del 1987, all’art. 6 della legge n. 898 del 1970.”

La Corte di Cassazione, inoltre, nella sentenza n. 11458 del 30 maggio 2005, ha riconosciuto espressamente che la norma speciale contenuta nell’art. 19 della Legge 6 marzo 1987, n. 74, in base alle pronunce della Corte Costituzionale, deve essere interpretata “nel senso che l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa di tutti gli atti, documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio si estende a tutti gli atti, documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi, in modo da garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli.”  Ancora, nella medesima sentenza, la Corte di Cassazione ha affermato che “l’interpretazione della citata giurisprudenza costituzionale impone un’applicazione dell’esenzione tributaria anche agli atti di esecuzione della separazione personale, i cui effetti siano favorevoli ai figli.”

Tornando alla posizione espressa nella Circolare del 21 giugno 2012, l’Agenzia delle Entrate, richiamando la giurisprudenza suddetta, è giunta alla conclusione che l’esenzione fiscale prevista dall’articolo 19 della Legge n. 74 del 1987 (esenzione dall’imposta di bollo, di registro ed ogni altra tassa) “deve ritenersi applicabile anche alle disposizioni patrimoniali in favore dei figli disposte in accordi di separazione e di divorzio”.

E’, però, richiesto il rispetto di una condizione affinché l’esenzione in questione possa operare a tutti gli effetti: il testo dell’accordo omologato dal tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, deve prevedere esplicitamente che l’accordo patrimoniale a beneficio dei figli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale”.

Secondo quanto è precisato dall’Agenzia delle Entrate, infatti, l’interpretazione giurisprudenziale formatasi sulla questione “si fonda sulla considerazione che gli accordi a favore dei figli, stipulati dai coniugi nella gestione della crisi matrimoniale, oltre a garantire la tutela obbligatoria nei confronti della prole, costituiscono, talvolta, l’unica soluzione per dirimere controversie di carattere patrimoniale”.

Non deve ritenersi tassabile, quindi, in via esemplificativa, l’atto con il quale uno dei due coniugi, in esecuzione di un accordo concluso in sede di separazione consensuale, trasferisce al figlio la nuda proprietà della casa coniugale della quale è proprietario. L’esenzione vale nella misura in cui nell’accordo raggiunto dai coniugi – genitori e omologato dal Tribunale, sia espressamente indicata la funzione della disposizione patrimoniale di risoluzione della crisi coniugale.

Attenzione, quindi, alla redazione dell’accordo di separazione e di divorzio, da parte dei coniugi, qualora sia ancora ammessa la separazione personale senza avvocati, e da parte dei professionisti che assistono i coniugi nella regolazione dei loro rapporti a seguito della crisi coniugale.

Nella Circolare n. 27 del 21 giugno 2012, l’Agenzia delle Entrate si è occupata anche di un’altra questione che assume particolare rilevanza tributaria nell’ambito degli effetti degli accordi che i coniugi possono raggiungere in sede di separazione e divorzio. Si tratta della decadenza dalle agevolazioni fiscali previste per l’acquisto della “prima casa” in caso di cessione dell’abitazione coniugale, prima che sia trascorso il periodo di cinque anni dall’acquisto dell’abitazione medesima, in esecuzione dell’accordo raggiunto dai coniugi.

Si ricorda che la regola generale vuole che, nel caso venga trasferito per atto a titolo oneroso o gratuito l’immobile acquistato con i benefici “prima casa”, prima del decorso del termine di cinque anni dalla data dell’acquisto, si verifica la decadenza dalle agevolazioni fiscali in questione. Questo vuol dire che l’Agenzia delle Entrate provvede al recupero della differenza tra l’imposta  calcolata in assenza delle agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, oltre all’applicazione della sanzione pari al 30 % e degli interessi di mora.

Sempre in via generale, la decadenza dai benefici fiscali può essere evitata qualora, entro un anno dalla cessione dell’abitazione, si proceda all’acquisto di un nuovo immobile da destinare ad abitazione principale.

L’Agenzia, nella Circolare suddetta, ha considerato specificamente, per rispondere ad una richiesta di chiarimento che le era stata sottoposta in proposito, il caso in cui l’immobile acquistato come “prima casa”, con la conseguente applicazione delle relative agevolazioni fiscali, venga ceduto dai coniugi, entro il termine di cinque anni, in adempimento di obblighi nascenti dagli accordi raggiunti in sede di separazione e divorzio. In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha considerato in tale sede l’ipotesi nella quale uno dei coniugi cede la propria quota di proprietà dell’immobile all’altro coniuge, in esecuzione degli accordi suddetti.

In questo caso, trova applicazione l’esenzione tributaria prevista dall’articolo 19 della Legge n. 74 del 1987, che, come visto in precedenza,  dispone che siano esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Come sopra evidenziato, l’esenzione tributaria può dirsi estesa anche agli atti ed ai provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi.

La finalità perseguita dal legislatore in questo ambito, ossia la finalità di favorire la rapida definizione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in crisi, deve ritenersi valida anche nel caso in cui le pattuizioni di natura patrimoniale, definite dalle parti ed omologate dal Tribunale, prevedano il trasferimento da parte di uno dei coniugi, in favore dell’altro, della quota di sua proprietà dell’immobile prima destinato ad abitazione familiare. Infatti, si tratta comunque di un atto relativo alla separazione o al divorzio.

Se la cessione viene effettuata, in esecuzione dell’accordo di separazione o divorzio, prima del decorso dei cinque anni dall’acquisto, quindi, opera l’esenzione dalla tassazione e deve escludersi la decadenza dalle agevolazioni fiscali “prima casa”.

Tale considerazione vale a prescindere dalla circostanza che il coniuge cedente provveda o meno all’acquisto di un nuovo immobile, da destinare ad abitazione principale, entro il termine di un anno dall’alienazione.

Altro caso preso in considerazione dall’Agenzia delle Entrate è quello della cessione da parte di entrambi i coniugi, sempre effettuata prima che siano trascorsi cinque anni dall’acquisto, ad una terza persona dell’immobile acquistato con i benefici “prima casa”, con contestuale rinuncia da parte di uno dei coniugi in favore dell’altro del ricavato della vendita.

Questa ipotesi deve essere oggetto di una diversa valutazione ai fini della determinazione del trattamento tributario da applicare. La cessione, infatti, in questo caso, almeno così sostiene l’Agenzia delle Entrate, non troverebbe la propria causa nel procedimento di separazione e divorzio e, quindi, non potrebbe applicarsi il regime di esenzione di cui all’articolo 19 della Legge n. 74 del 6 marzo 1987.

E’ anche vero che comunque, nella situazione in questione, “il coniuge tenuto a riversare le somme percepite dalla vendita all’altro coniuge non realizza, di fatto, alcun arricchimento dalla vendita dell’immobile.” Anche in questa ipotesi, quindi, deve escludersi la decadenza dalle agevolazioni “prima casa”.

Il coniuge cedente che rinuncia al ricavato della vendita dell’immobile in favore dell’altro coniuge, inoltre, per evitare la decadenza dai benefici “prima casa” non deve acquistare entro un anno un altro immobile da adibire ad abitazione principale. Si verifica, infatti, una situazione analoga a quella in cui il coniuge cede la propria quota di proprietà all’altro coniuge.

La regola ordinaria torna ad essere applicata, invece, nei confronti del coniuge  che vende la casa coniugale a terzi ed al quale l’altro coniuge cede la parte del ricavato della vendita dell’immobile medesimo, al coniuge cioè che percepisce l’intero corrispettivo della vendita. Egli, per evitare la decadenza dai benefici fiscali applicati per l’acquisto “prima casa”, dovrà riacquistare, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile da adibire ad abitazione principale.

Ricapitolando, quindi, nel caso in cui, in esecuzione dell’accordo di separazione o divorzio, raggiunto dai coniugi e confermato dal Tribunale, uno dei due coniugi cede la propria quota di proprietà dell’ex casa coniugale, acquistata con i benefici previsti per la “prima casa”, all’altro coniuge, sia pur nel periodo di cinque anni dall’acquisto, non opera la decadenza dai benefici suddetti, a prescindere dalla circostanza che il coniuge cedente acquisti una nuova abitazione entro un anno dall’alienazione.

Se, sempre in esecuzione degli accordi raggiunti in sede di separazione o divorzio, e sempre prima che siano trascorsi cinque anni dall’acquisto, entrambi i coniugi cedono l’ex casa coniugale a terzi ed uno dei due coniugi rinuncia alla quota di propria spettanza del ricavato della vendita, in favore dell’altro coniuge, non opera comunque la decadenza dai benefici “prima casa”, applicati originariamente all’acquisto della ex abitazione familiare, nei confronti del coniuge cedente che ha rinunciato alla propria quota del ricavato della vendita. L’altro coniuge che percepisce l’intero corrispettivo dovrà, invece, per evitare la decadenza, acquistare entro un anno dalla cessione un nuovo immobile da adibire ad abitazione principale.

Ancora una volta, quindi, attenzione particolare da parte dei coniugi, e dei professionisti che li assistono in sede di separazione e divorzio, alle conseguenze sul piano fiscale delle scelte effettuate e degli accordi raggiunti.

 

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