Il 22 dicembre 2010, la Terza Sezione della Corte di Giustizia Europea, con la sentenza che ha definito il procedimento C-103/09, ha fornito delle importanti indicazioni riguardo alla corretta interpretazione da attribuire all’espressione “pratica abusiva”, in particolare con riferimento al ricorso ad operazioni di leasing per ottenere un vantaggio in termini di Iva.
Nel caso specifico, un gruppo di società inglese effettuava una serie di operazioni attraverso le quali riusciva a differire il versamento dell’Iva non detraibile sui beni strumentali acquistati. L’Iva veniva, infatti, pagata, non con riferimento al costo pieno dei beni strumentali, ma con riferimento all’importo del canone di locazione relativo a tali beni, che venivano acquistati da una delle società del gruppo (la cui unica attività commerciale consisteva, appunto, nell’acquistare i beni strumentali e concederli in leasing), concessi in leasing ad una società esterna (appartenente, però, interamente al consulente fiscale per l’Iva del gruppo ed alla moglie) e sublocati alle società del gruppo che necessitavano dei beni in questione. Il costo veniva così ripartito su tutta la durata dei contratti di leasing.
La questione posta all’esame della Corte Europea è se qualora un’impresa ricorra ad operazioni di leasing aventi ad oggetto determinati beni, coinvolgendo una società terza intermediaria, invece di acquistare direttamente tali beni, dia origine ad un vantaggio fiscale contrario agli scopi perseguiti dalle disposizioni della Sesta Direttiva del Consiglio Europeo del 17 maggio 1977 in materia di Iva. Inoltre, si è posta la questione se il ricorso a tali operazioni, nei limiti nei quali l’impresa presa in considerazione non effettui operazioni di leasing nell’ambito delle sue normali operazioni commerciali, costituisca una “pratica abusiva”.
La Corte ha, a tal proposito, precisato che, in materia di Iva, l’esistenza di una pratica abusiva può essere riconosciuta in presenza di due condizioni:
– le operazioni controverse, nonostante siano attuate nel rispetto formale delle condizioni previste dalle disposizioni della Sesta Direttiva comunitaria e della legislazione nazionale che la traspone, hanno il risultato di procurare un vantaggio fiscale la cui concessione è contrario agli obiettivi perseguiti dalle disposizioni in questione;
– deve risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l’ottenimento del vantaggio fiscale.
Con riferimento al caso in questione, senza dubbio il ricorso alle operazioni di leasing ha avuto come scopo essenziale quello di ottenere un vantaggio fiscale, ma non può dirsi che questo vantaggio fiscale sia di per sé contrario agli scopi perseguiti dalla normativa comunitaria e nazionale in materia di Iva. Infatti, non c’è contrarietà alla normativa se l’Iva viene comunque debitamente ed integralmente versata, come è avvenuto nel caso in questione.
La contrarietà alla normativa comunitaria e nazionale si ha, invece, se nelle condizioni contrattuali relative alle operazioni di leasing viene stabilito un importo del canone di locazione che sia molto più basso del normale e che non corrisponda ad alcuna realtà economica. Occorre, altresì, verificare se il coinvolgimento di una società terza intermediaria possa ostacolare l’applicazione delle disposizioni di legge.
La circostanza che l’impresa non effettui operazioni di leasing nell’ambito delle sue normali operazioni commerciali non assume, invece, alcuna rilevanza.
Qualora il giudice del rinvio, in base alle suddette indicazioni, ritenga che alcuni elementi delle operazioni di leasing possano costituire una pratica abusiva, dovrà, secondo quanto affermato dalla Corte Europea, ridefinire le operazioni in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza gli elementi che hanno fondato tale pratica abusiva.
a cura dell’Avv. Raffaella De Vico.
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