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Novità Iva
8 Giugno 2013

Non imponibilita’ Iva per le cessioni intracomunitarie: il cedente deve dimostrare l’effettivo trasporto del bene fuori del territorio dello Stato o provare la propria buona fede su tale circostanza.

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La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 12964 del 24 maggio 2013, ha accolto il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria, enunciando un importante principio, già espresso in altre Sentenze, in materia di cessioni intracomunitarie di beni.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso nei confronti di una Società a responsabilità limitata un avviso di accertamento per il recupero dell’Iva, con irrogazione delle relative sanzioni, a seguito della redazione da parte della Guardia di Finanza di un verbale di contestazione dal quale risultava che le merci fatturate come esportazioni, in realtà, erano state movimentate in Italia.

La Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso proposto dalla società contribuente e la Commissione Tributaria Regionale aveva confermato la pronuncia di primo grado.

Il Giudice d’appello, in particolare, aveva sostenuto che, in virtù di quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, non era addebitabile alcuna censura al contribuente, in quanto la circostanza che la merce oggetto della fatturazione non era mai uscita dal territorio nazionale era dovuta in via esclusiva al comportamento della società destinataria della merce medesima. Il cedente italiano era in regola con le disposizioni in materia di operazioni intracomunitarie e, quindi, non aveva altre incombenze da osservare, né doveva accertarsi che la merce fosse stata effettivamente trasferita in un altro Paese comunitario.

La Corte di Cassazione ha contestato la posizione assunta dai Giudici nei precedenti gradi di giudizio.

In primo luogo, la Suprema Corte ha ricordato che, nel sistema previsto per le operazioni intracomunitarie, per beneficiare della non imponibilità Iva, le cessioni devono possedere una serie di caratteristiche (indicate nell’articolo 41 del Decreto Legge n. 331 del 1993), tra le quali è previsto il requisito della effettiva movimentazione del bene, con partenza dall’Italia ed arrivo in un altro Stato membro, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione siano effettuati dal cedente, dal cessionario o da terzi per loro conto. In assenza dei presupposti in questione, l’operazione è assoggettata all’Iva in Italia.

L’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario, ossia l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di un altro Stato membro, grava sul contribuente cedente, che emette la fattura e non applica l’imposta nei confronti del cessionario, dichiarando che l’operazione non è imponibile.

Tale regola è, secondo la Corte di Cassazione, diretta applicazione del principio generale dell’onere della prova enunciato nell’articolo 2697 del codice civile. In particolare, l’onere di provare la sussistenza di presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga.

Ancora, la Suprema Corte ha negato che la circostanza che la società contribuente si sia uniformata alle prescrizioni di legge in merito alla regolarità contabile, escluda che essa avrebbe dovuto fornire ulteriore dimostrazione per fruire della non imponibilità dell’operazione ai fini Iva.

Può certamente escludersi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario. Ma il cedente deve impiegare la normale diligenza richiesta ad un soggetto che pone in essere una transazione commerciale e, quindi, deve verificare, con la diligenza dell’operatore commerciale professionale, le caratteristiche di affidabilità della controparte. Il cedente deve procurarsi mezzi di prova adeguati, capaci di non lasciare dubbi riguardo all’effettività dell’esportazione e riguardo alla sua buona fede riguardo a tale dato.

Il cedente, dunque, deve provare con ogni mezzo l’effettività dell’esportazione e, qualora sia provato che l’esportazione non vi sia stata, deve dimostrare che è stato tratto in inganno, nonostante abbia adottato le opportune cautele per evitare il raggiro.

a cura dell’Avv. Raffaella De Vico.

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