La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la Sentenza del 26 ottobre 2010, relativa alla causa C-97/09, si è pronunciata riguardo all’applicazione della franchigia dall’IVA alle piccole imprese nel caso in cui si tratti di soggetti passivi residenti in altri Stati membri dell’Unione Europea.
Nella sentenza, viene richiamata in particolare, nell’ambito della normativa comunitaria, la sesta Direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977 (Direttiva n. 77/388/CEE), nella quale è prevista, all’art. 24, n. 2, lett. a) e b), la possibilità per gli Stati membri di mantenere o di concedere una franchigia dall’IVA ai soggetti passivi la cui cifra d’affari annua sia al massimo pari al controvalore in moneta nazionale di 5.000 unità di conto europee. Inoltre, ed è ciò che più rileva, all’art. 28-decies della stessa Direttiva è specificato che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo non residente all’interno del Paese sono comunque escluse dal beneficio della franchigia dall’imposta.
Il giudice del rinvio ha posto la questione della conformità di queste norme ad alcuni principi generali di rilevanza comunitaria, come la libertà di stabilimento, la libertà di prestazione di servizi ed il principio della parità di trattamento. E’ stato posto, inoltre, il problema se “la cifra d’affari annua” rilevante ai fini dell’applicazione o meno del regime della franchigia dall’IVA debba essere calcolata considerando il volume d’affari realizzato dall’impresa in un anno nel Paese nel quale è stata richiesta la franchigia o realizzato in un anno nell’intero territorio dell’Unione Europea.
La Corte di Giustizia Europea, in primo luogo, ha escluso l’applicazione, nel caso sottoposto alla sua attenzione, della normativa in materia di libertà di stabilimento in quanto la contribuente (residente in Germania), pur partecipando alla vita economica di uno Stato membro(Austria) diverso dal proprio Stato di origine, mediante la locazione di un immobile collocato in quest’ultimo Paese, non gestiva l’immobile medesimo in maniera attiva attraverso una presenza permanente nello Stato membro ospitante, condizione necessaria per l’applicazione delle disposizioni relative al diritto di stabilimento.
La Corte ha, poi, affermato che l’attività di locazione svolta dalla contribuente può essere ricompresa nella libera prestazione dei servizi. La questione che si pone è allora se la normativa in base alla quale viene disposto che il regime della franchigia dall’IVA non si può applicare ai non residenti (normativa che ha, quindi, escluso la possibilità per la contribuente di avvalersi della franchigia dall’IVA prevista dalla normativa austriaca) possa determinare una restrizione della libera prestazione di servizi e, nel caso sia così, se questa restrizione debba ritenersi fondata su un’adeguata giustificazione.
A tal proposito, la Corte richiama l’orientamento, espresso dai Governi di alcuni Paesi europei, come l’Austria, e dal Consiglio e dalla Commissione Europea, secondo il quale “la restrizione alla libera prestazione dei servizi consistente in una disparità di trattamento tra le piccole imprese a seconda che siano stabilite o meno nel territorio austriaco è giustificata dalla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali”, controlli che possono essere effettuati efficacemente solo dallo Stato membro nel cui territorio ha sede la piccola impresa. E la necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali è riconosciuta dalla Corte come un motivo imperativo di interesse generale che può giustificare una restrizione all’esercizio delle libertà di circolazione.
Nella sentenza è stato, altresì, evidenziato come “la limitazione del beneficio della franchigia dall’IVA soltanto ai soggetti passivi stabiliti nello Stato membro che ha istituito tale esenzione consente di evitare che soggetti passivi che svolgano attività in diversi Stati membri, senza essere stabiliti negli Stati medesimi, possano sottrarsi, in tutto o in gran parte, avvalendosi delle franchigie in vigore negli stessi, all’imposizione delle loro attività, sebbene le stesse, complessivamente considerate, eccedano obiettivamente il livello di attività di una piccola impresa, il che sarebbe inconciliabile con la necessità di incentivare, attraverso la deroga al principio della tassazione rappresentato da un siffatto meccanismo di franchigia, soltanto le piccole imprese.”
Nella parte conclusiva della pronuncia, viene, infine, affermato che, sulla base delle diverse considerazioni suesposte, risulta pienamente giustificata l’applicazione della franchigia dall’IVA solo alle attività delle piccole imprese stabilite nel territorio dello Stato membro in cui l’IVA è dovuta e, inoltre, riguardo all’altra questione sollevata dal giudice del rinvio, che il volume d’affari annuo, da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione della normativa che prevede l’applicazione della franchigia dall’IVA, è quello realizzato nello Stato membro nel quale l’impresa è stabilita.
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