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Novità Irpef - Ires
8 Luglio 2022

Start-up innovative: no alla distribuzione degli utili anche se con associazione in partecipazione.

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Nuovi chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate riguardo alle start-up innovative.

A presentare un quesito all’Agenzia delle Entrate è una società iscritta nel Registro delle imprese come start-up innovativa che si occupa della progettazione, dello sviluppo e della commercializzazione di prodotti e servizi innovativi ad alto valore tecnologico. Per realizzare il proprio progetto, la start-up dovrà effettuare ingenti investimenti ed è, pertanto, intenzionata a realizzare una partnership con investitori, sia persone fisiche, che imprese, che siano disposti a partecipare alle spese in cambio della partecipazione agli utili. In particolare, la partnership assumerebbe la forma dell’associazione in partecipazione con apporto di capitali.

Secondo l’istante, l’associazione in partecipazione con apporto di capitale viene trattata, in ambito fiscale, come un rapporto di natura partecipativa e l’erogazione dell’utile al singolo associato viene trattata come una distribuzione di dividendo.

Ma il Decreto Legge n. 179 del 2012 prevede che le start-up non possano distribuire utili fino a quando sono iscritte nella sezione speciale del Registro delle imprese. Questo divieto opera anche in questo caso, ossia nell’ipotesi di distribuzione di utili all’associato che apporta capitale nell’ambito di un contratto di associazione in partecipazione sottoscritto con l’impresa?

L’Agenzia delle Entrate, nella Risposta n. 334 del 21 giugno 2022, ha evidenziato che l’articolo 25 del Decreto Legge n. 179 del 2012, contenente le disposizioni riguardanti la nascita e lo sviluppo delle imprese “start-up innovative”, prevede che, tra i requisiti necessari per assumere la qualifica di start-up innovativa, vi sia quello che l’impresa non distribuisca e non abbia distribuito utili.

Con riferimento al contratto di associazione in partecipazione, l’Agenzia delle Entrate ha rilevato che l’associante attribuisce ad un altro soggetto, ossia all’associato, una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.

Quale sia l’oggetto dell’apporto può essere deciso dalle parti. Può consistere in una somma di denaro o nella cessione di beni mobili o immobili o nella prestazione di un’opera o di un servizio. La sola limitazione consiste nell’impossibilità di accordarsi per un apporto consistente in una prestazione di lavoro nel caso in cui l’associato sia una persona fisica.

A seguito dell’apporto reso, l’associato partecipa al rischio dell’attività d’impresa o dell’affare dell’associante. Secondo quanto disposto nel Codice Civile, infatti, l’associato partecipa agli utili ed alle perdite, con il solo limite che le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto.

Il contratto di associazione in partecipazione, pertanto, svolge per l’associante una funzione “finanziaria” di reperimento dei mezzi necessari per lo svolgimento di un’attività o per il compimento di un affare, mentre per l’associato svolge una funzione “associativa” volta a soddisfare l’interesse a partecipare ai vantaggi conseguenti al raggiungimento degli scopi connessi all’attività o agli affari da svolgere, con conseguente assunzione anche dei rischi di tale attività o di tali affari.

Sotto l’aspetto fiscale, il legislatore ha equiparato il trattamento fiscale della remunerazione corrisposta in relazione ai contratti di associazione in partecipazione a quello della remunerazione dovuta in relazione a titoli e strumenti finanziari comunque denominati, per la quota di essa che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società.

Entrambi i tipi di remunerazione sono indeducibili per il soggetto emittente/associante, mentre sia gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società, sia gli utili derivanti da associazioni in partecipazione sono da considerarsi per il percettore come redditi di capitale. Il trattamento fiscale è, quindi, sia per l’associato, che per l’associante, equivalente a quello della partecipazione ad una società di capitali, ossia la distribuzione dell’utile non è deducibile in capo all’associante, mentre il regime di imposizione fiscale in capo all’associato varia a seconda che si tratti di un soggetto Ires, di un soggetto passivo Irpef che svolga attività d’impresa o di un soggetto passivo Irpef privato, secondo le rispettive regole previste per le diverse categorie di percettori.

L’Agenzia delle Entrate ha affermato che, tenendo conto del regime di tassazione suddetto, se la start-up innovativa procedesse a corrispondere utili all’associato in partecipazione, perderebbe i requisiti previsti dal Decreto Legge n. 179 del 2012 per la qualifica di start-up innovativa e, di conseguenza, la possibilità di beneficiare delle relative agevolazioni fiscali. Peraltro, il divieto di distribuzione degli utili previsto dalla normativa in questione è proprio finalizzato a favorire l’investimento degli stessi nella start-up innovativa stessa così da assicurarne la crescita. Se si remunerasse l’associato con gli utili senza destinarli alla crescita dell’impresa, verrebbe meno quel comportamento virtuoso che la normativa intende premiare con il riconoscimento delle agevolazioni fiscali.

La conclusione espressa dall’Agenzia delle Entrate è, pertanto, che la normativa relativa alle start-up innovative vieta la distribuzione degli utili, anche quando essa avviene tramite il ricorso a contratti di associazione in partecipazione.

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