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29 Novembre 2019

Regime di esenzione delle plusvalenze: la commercialità deve essere verificata nell’effettiva attività

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L’Agenzia delle Entrate ha risposto ad un quesito relativo al requisito della commercialità ai fini dell’applicazione del regime di esenzione delle plusvalenze (regime pex).

La società istante aveva una quota di partecipazione del 35 % in un Consorzio. Nel 2018, ha ceduto la propria partecipazione ad un’altra società. Nell’istanza di interpello, la società che ha ceduto la partecipazione ha rappresentato tutta una serie di circostanze dalle quali è emerso che il Consorzio del quale faceva parte da tempo non era effettivamente operativo.

Il dubbio presentato all’Agenzia delle Entrate riguarda la sussistenza del requisito della commercialità ai fini dell’applicazione del regime di esenzione delle plusvalenze in relazione alla cessione della partecipazione in questione.

L’Agenzia delle Entrate, nella Risposta n. 502 del 28 novembre 2019, ha ricordato che la disciplina contenuta nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi prevede tra i requisiti per l’applicazione del regime di esenzione quello della “commercialità”.

La disciplina in materia si applica alle attività che producono reddito d’impresa. Questo non vuol dire, però, che tutti i redditi prodotti nell’esercizio d’impresa siano riferibili ad un’attività commerciale così che si possa affermare la sussistenza del requisito della commercialità.

Il regime di esenzione delle plusvalenze è applicabile, secondo la volontà del legislatore, ai soli casi in cui il sottostante patrimonio della società partecipata si configuri come azienda e tale azienda risulti utilizzata nell’esercizio dell’attività d’impresa.

Quindi, si può sostenere che si è in presenza di un’impresa commerciale vera e propria, ai fini dell’applicazione del regime pex, quando la società partecipata risulta dotata di una struttura operativa idonea alla produzione e/o alla commercializzazione di beni o servizi potenzialmente produttivi di ricavi o nel caso in cui l’impresa possieda la capacità, anche solo potenziale, di soddisfare la domanda del mercato nei tempi tecnici che siano ragionevolmente previsti in relazione alle specificità dei settori economici di appartenenza.

Nel caso specifico, occorre verificare se vi sia una struttura operativa che sia idonea allo sfruttamento, anche solo potenziale, della concessione esercitata dal Consorzio del quale faceva parte la società istante.

L’Agenzia delle Entrate ha affermato in proposito che, guardando all’effettiva attività svolta dal Consorzio, non risulta soddisfatta la condizione suddetta. Infatti, il Consorzio ha mantenuto la stessa struttura organizzativa prima e durante il periodo di inattività. In particolare, non vi sono strutture operative attribuibili al Consorzio. Inoltre, anche le società consorziate si limitano ad un mero sfruttamento passivo della concessione intestata al Consorzio.

Pertanto, la conclusione espressa dall’Agenzia delle Entrate è che, nel caso specifico che le è stato rappresentato dall’istante, non può ritenersi sussistente in capo al Consorzio il requisito della commercialità con conseguente impossibilità di applicare il regime di esenzione della plusvalenza realizzata dall’istante al momento della cessione della sua partecipazione.

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