La Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 10914 del 27 maggio 2015, si è occupata di una controversia relativa alla deducibilità, integrale o meno, delle spese sostenute da una società, produttrice di manufatti in vetroresina, per la sponsorizzazione di eventi sportivi e manifestazioni fieristiche di dimensione locale.
L’Amministrazione finanziaria aveva sostenuto, nel proprio atto di accertamento, che le spese in questione non erano qualificabili come spese di pubblicità, ma come spese di rappresentanza, deducibili nei limiti previsti dalla legge. Conseguentemente, erano state rettificate le dichiarazioni Iva, Irpeg ed Irap presentate dalla società contribuente ed era stato rideterminato un maggior debito d’imposta.
In primo e secondo grado era stata data ragione alla contribuente.
L’Agenzia delle Entrate aveva, quindi, impugnato la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale dinanzi alla Corte di Cassazione.
La Cassazione ha ricordato che, generalmente, l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, incombe sul contribuente.
Riguardo più specificamente al tema della pubblicità e della propaganda, la Corte di Cassazione ha richiamato la propria giurisprudenza secondo la quale la deducibilità delle spese relative ad un contratto di sponsorizzazione stipulato anche in favore di un terzo è ammessa purché il contribuente dimostri che sussista il requisito dell’inerenza. Tale prova deve consistere sia nella giustificazione della congruità dei costi, rispetto ai ricavi o all’oggetto sociale, ma anche e soprattutto nell’allegazione delle potenziali utilità per la propria attività commerciale o dei futuri vantaggi conseguibili attraverso la pubblicità svolta dall’impresa in favore del terzo.
Nel caso specifico, la contribuente avrebbe dovuto provare che i costi sostenuti erano inerenti. Non soltanto, quindi, le spese dovevano essere documentate, ma dovevano risultare inerenti sotto il profilo del concreto vantaggio che le attività svolte dalla società contribuente ne avrebbero potuto ricavare, in termini di allargamento della clientela e di incremento dei ricavi.
Inoltre, l’Agenzia delle Entrate ha richiamato l’orientamento consolidato della Cassazione secondo il quale le spese di rappresentanza sono quelle affrontate per accrescere, come obiettivo immediato, l’immagine ed il prestigio della società, mentre sono spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti prevalentemente alla pubblicizzazione dei prodotti o comunque dell’attività svolta.
La Cassazione ha ritenuto fondato il ragionamento seguito dall’Agenzia delle Entrate. Anche la Corte, infatti, ha fatto riferimento alla propria giurisprudenza secondo la quale, in tema di imposte sui redditi delle persone giuridiche, il criterio discretivo tra le spese di rappresentanza e le spese di pubblicità deve essere individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi.
Costituiscono, infatti, spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dare luogo all’aspettativa di un incremento delle vendite, mentre sono spese di pubblicità o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque al fine diretto dell’incremento delle vendite.
Le spese di sponsorizzazione costituiscono, pertanto, spese di rappresentanza, deducibili limitatamente, se il contribuente non provi che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di ritorno commerciale.
Nel caso specifico, invece, la Commissione Tributaria Regionale aveva erroneamente considerato tutte le spese di sponsorizzazione sostenute dalla contribuente, indistintamente, anche se non ne era stata dimostrata la finalizzazione al miglioramento delle prospettive reddituali dell’attività d’impresa, come spese di pubblicità e di propaganda, quindi, deducibili integralmente.
La Corte di Cassazione ha annullato la pronuncia impugnata ed ha rinviato alla Commissione Tributaria Regionale che l’ha emessa, affinché, in altra composizione, riesamini la causa sulla base dei corretti principi in materia.