Il nuovo quesito che è stato posto tramite interpello all’Agenzia delle Entrate riguarda la possibilità di rateizzare le plusvalenze derivanti dalla cessione di marchi nonostante essi non siano stati iscritti nel bilancio del cedente.
L’istante ha sostenuto che la circostanza che i beni immateriali non siano stati iscritti nel bilancio non assume rilevanza ai fini delle rateizzabilità delle plusvalenze derivanti dalla relativa cessione.
L’Agenzia delle Entrate, nella Risposta n. 19 del 4 febbraio 2020, ha ricordato le disposizioni del Testo Unico delle Imposte sui Redditi secondo le quali le plusvalenze dei beni relativi all’impresa concorrono a formare il reddito se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso. La plusvalenza, in particolare, è costituita dalla differenza tra il corrispettivo conseguito ed il costo non ammortizzato dei beni.
Queste plusvalenze concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio nel quale sono state realizzate o, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto. La scelta del contribuente in tal senso deve risultare dalla dichiarazione dei redditi. Se questa non è presentata, la plusvalenza, pertanto, concorre a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio nel quale è stata realizzata.
Queste regole trovano applicazione anche nella circostanza in cui il bene immateriale oggetto della cessione dalla quale è derivata la plusvalenza non sia mai figurato in bilancio, in quanto non sia stato sostenuto alcun costo per il suo acquisto o per la sua produzione.
L’Agenzia delle Entrate ha precisato che, in questo caso, ai fini della determinazione della plusvalenza che potrà fruire della rateizzazione, il costo da porre a confronto con il corrispettivo realizzato sarà pari a zero, analogamente al caso in cui il bene risulti integralmente ammortizzato.