La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione si è pronunciata ancora una volta in materia di Irap.
Nella Sentenza n. 11197 del 10 maggio 2013, ha, infatti, riconosciuto che, alla stregua dell’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte Costituzionale, l’assoggettamento ad Irap dell’attività del lavoratore autonomo e professionista richiede una valutazione complessiva dell’attività, da effettuarsi sulla base di tutti gli elementi di fatto che caratterizzano la fattispecie concreta.
L’imposizione riguarda il valore aggiunto prodotto, cioè la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva, che viene, mediante l’Irap, assoggettata ad imposizione ancora prima che sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione, trasformandosi così in reddito per l’organizzatore dell’attività, ma anche per i suoi finanziatori ed i suoi dipendenti e collaboratori.
L’imposta colpisce un fatto economico diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell’attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione.
Nel caso di un’attività che sia svolta in assenza di elementi di organizzazione risulta mancante il presupposto stesso dell’Irap, rappresentato, ai sensi dell’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi, e, quindi, non è applicabile l’imposta medesima.
Soltanto l’attività esercitata dalle società e dagli enti costituisce in ogni caso presupposto dell’imposta. Per ogni altra figura, è necessaria un’analisi caso per caso, con un’istruttoria concreta che non sia condotta per tipologie di contribuente.
Ancora, l’esistenza di un’autonoma organizzazione non deve essere intesa in senso soggettivo, come auto-organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione, ma in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante dall’aggregazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui.
La Corte di Cassazione ha, poi, richiamato l’importante decisione della Corte medesima (n. 10240 del 2010) nella quale è stato affermato che la disponibilità, da parte dei medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, di uno studio, rientrando nell’ambito del minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale, ed essendo obbligatoria ai fini dell’instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale, non integra, di per sé, in assenza di personale dipendente, il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini del presupposto dell’Irap.
Infine, con riferimento specifico al settore medico, la Corte di Cassazione ha ricordato una propria pronuncia del 2012 nella quale viene riconosciuto che la disponibilità da parte dei medici di base di strumenti di diagnosi, per quanto complessi e costosi, non è idonea a configurare la sussistenza dei presupposti impositivi, poiché questi strumenti rientrano nelle attrezzature usuali per i professionisti in questione.
a cura dell’Avv. Raffaella De Vico.