La Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 22242 del 26 ottobre 2011, ha confermato la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale che aveva dato particolare rilevanza alla circostanza che i consumi di energia elettrica, riscontrati presso un contatore autonomamente riferibile al capannone dove aveva lavorato il contribuente (artigiano falegname), utilizzando macchinari che comportavano il consumo di elettricità, non erano diminuiti successivamente alla formale cessazione dell’attività (il contribuente aveva presentato, nell’anno precedente a quello oggetto di accertamento, la dichiarazione di cessazione dell’attività commerciale).
Secondo la Suprema Corte, la circostanza del consumo costante di energia elettrica nel luogo di lavoro può certamente costituire un indizio della continuazione da parte del contribuente dell’attività, negli stessi termini e con i medesimi ricavi.
Il contribuente avrebbe dovuto fornire la prova contraria, la cui valutazione è comunque rimessa al giudice di merito ed è censurabile dinanzi alla Cassazione solo per vizio di motivazione. Nel caso di specie, invece, la sentenza impugnata non era stata censurata per vizio di motivazione in ordine all’omessa o insufficiente considerazione della prova contraria fornita dal contribuente, circa la mancata produzione di reddito tassabile o la produzione di esso in misura inferiore a quella accertata.
La Commissione Tributaria Regionale aveva, comunque, correttamente ridotto la misura dei ricavi contestati dall’Amministrazione finanziaria in considerazione dei problemi di salute del contribuente, provati da certificati medici depositati in giudizio.
a cura dell’Avv. Raffaella De Vico.
Maggiori informazioni e approfondimenti sistematici ed esaurienti inviati direttamente alla vostra mail, acquisti la circolare informativa fiscale