La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 17673 del 19 luglio 2013, ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, riconoscendo la non deducibilità della spesa sostenuta da una società di capitali consistente nei compensi versati agli amministratori, in difetto dei requisiti di certezza e di inerenza.
In particolare, la Suprema Corte ha ricordato che l’attività di amministratore di società è compresa, in base all’articolo 49, secondo comma, lett. a), del TUIR, che individua e regola, ai fini delle imposte dirette, i redditi da lavoro autonomo, tra i “rapporti aventi per oggetto la prestazione di attività […] che, pur avendo contenuto intrinsecamente professionale, sono svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita“.
Riguardo alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, la Corte di Cassazione ha richiamato il proprio orientamento secondo il quale qualora tale misura non sia stata stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio.
L’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è, quindi, idonea a configurare la specifica delibera richiesta per la determinazione della misura dei compensi medesimi, salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.
a cura dell’Avv. Raffaella De Vico.