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2 Ottobre 2014

Accertamento induttivo: non è legittimo qualora l’incongruenza tra quanto dichiarato e quanto risultante dallo studio di settore non è grave

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Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 20414 del 26 settembre 2014, l’Amministrazione finanziaria è autorizzata a procedere all’accertamento induttivo qualora ravvisi gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta o dagli studi di settore.

Ancora, secondo la Suprema Corte, l’accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore differisce dalla procedura di accertamento prevista dall’articolo 39 del D.P.R. n. 600 del 1973, rispetto alla quale costituisce uno strumento alternativo per l’Amministrazione finanziaria.

Secondo costante giurisprudenza, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una “grave incongruenza”, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata nel quadro di una lettura della normativa in materia costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la pronuncia della Commissione Tributaria che aveva confermato l’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti del contribuente, esercente un’attività di commercio al dettaglio di fiori, piante e sementi. Con tale avviso di accertamento, l’Amministrazione finanziaria aveva recuperato a tassazione i maggiori ricavi e, conseguentemente, aveva rideterminato il maggiore valore della produzione e del volume degli affari, ai fini Irap ed Iva.

In particolare, i Giudici di secondo grado avevano sostenuto che doveva ritenersi insufficiente a legittimare l’atto impositivo, poiché non particolarmente grave, il divario del 7 % tra il reddito dichiarato dal contribuente ed il reddito accertato in base alle risultanze degli studi di settore applicabili.

L’Agenzia delle Entrate aveva, invece, affermato che il mero scostamento tra i ricavi ed i corrispettivi dichiarati e le risultanze degli studi di settore, qualunque ne sia l’entità, di per sé giustificherebbe, senza necessità di ulteriori rilievi ed a prescindere dalla percentuale dello scostamento, l’accertamento induttivo da parte dell’ufficio dell’Amministrazione finanziaria.

La Cassazione, come anticipato, ha confermato la pronuncia della CTR. Le argomentazioni dell’Agenzia delle Entrate, infatti, risultano in palese contrasto con il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.

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