Premessa
Nella prassi societaria sta assumendo sempre maggiore rilevanza il fenomeno del ricorso a finanziamenti, effettuati a vario titolo, dai soci a favore delle società. Infatti, le società – siano esse di persone ovvero di capitale – si trovano spesso ad operare in condizioni di scarsità di risorse finanziarie e sopperiscono a tale carenza ricorrendo, tra l’altro, a versamenti dei soci.
Il fenomeno indagato nella presente trattazione ha avuto, sostanzialmente, origine negli anni Settanta, sostenuto dall’emanazione di una normativa tributaria di particolare favore, dettata dal DPR 597/1973. Infatti, il comma 2 dell’art. 43 del citato decreto presidenziale, nello statuire che «per i capitali dati a mutuo si presume il diritto agli interessi», faceva salve dalla predetta presunzione «le somme versate dai soci alla società in conto capitale». Come avremo modo di approfondire nel seguito, il legislatore fiscale ha profondamente innovato la normativa in argomento che, per altro verso, ha subito significativi cambiamenti anche dal punto di vista civilistico con l’introduzione, in occasione della riforma del diritto societario del 2003, di apposite disposizioni contenute nell’art. 2467 c.c. [1] .
In dettaglio, il comma 1 del citato precetto normativo, rubricato appunto “Finanziamenti dei soci”, prevede che «il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori [..]». Il comma 2 contiene, invece, la definizione dei finanziamenti dei soci, con i quali si intendono «quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento».
Un fondamentale elemento di discrimine tra apporti effettuati a titolo di finanziamento e conferimenti da imputare, invece, a patrimonio, è costituito dal diritto del socio conferente alla restituzione delle somme versate. Infatti, mentre nel primo caso la società non assume alcun obbligo immediato di rimborso delle somme incassate [2] , nella seconda fattispecie in capo alla società conferitaria sorge un vero e proprio obbligo di restituzione del capitale nonché di eventuali interessi.
Un terzo genus è, infine, rappresentato da una serie di situazioni “ibride”, che si posizionano cioè tra i conferimenti e i prestiti, conosciuti in dottrina con il termine, mutuato dalla disciplina tedesca, di “quasi-capitale”, tra i quali è possibile annoverare i versamenti a fondo perduto, i versamenti in conto capitale o a copertura di perdite, prestiti postergati e irredimibili [3] .
Vincoli alla raccolta di fondi presso i soci
Ai fini di una migliore definizione del contesto di riferimento si rappresenta che, con la deliberazione del 19 luglio 2005 “Raccolta del risparmio da parte di soggetti diversi dalle banche”, il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR) ha evidenziato che le «società possono raccogliere risparmio presso i soci, con modalità diverse dall’emissione di strumenti finanziari, purché tale facoltà sia prevista nello statuto» (art. 6, comma 1).
Il comma 2 del citato articolo 6 prevede che la raccolta possa essere effettuata «esclusivamente presso i soci che detengano almeno il 2 per cento del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato e siano iscritti nel libro soci da almeno tre mesi [4] . Per le società di persone tali condizioni non sono richieste» (ndr, sottolineature inserite dal redattore).
Per completezza si rammenta che le operazioni di finanziamento da parte di soci che non rispettino le sopra menzionate prescrizioni normative sono sanzionate a norma dell’art. 130 del Testo Unico Bancario con l’arresto da 1 a 3 anni nonché con l’ammenda da € 12.911 ad € 51.645.
I versamenti a titolo di finanziamento
I versamenti effettuati dai soci con obbligo di restituzione risultano inquadrabili tra le fattispecie cui si rende applicabile la disciplina del contratto di mutuo dettata dagli artt. da 1813 a 1822 c.c..
In sostanza, tali finanziamenti rappresentano un debito della società verso il socio e, in sede di bilancio, vanno pertanto rappresentati nel passivo dello Stato Patrimoniale (ed in particolare alla voce D3 – debiti verso soci per finanziamenti).
L’art. 1815 c.c. dispone che «salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante», in tal guisa connotando il mutuo come un contratto presuntivamente – ma non necessariamente – oneroso, pur rimanendo impregiudicata la facoltà per i contraenti di concordarne la natura non onerosa (ovvero non fruttifera di interessi in favore del socio mutuante).
Per quanto concerne gli interessi, dal combinato disposto degli artt. 1815 e 1284 c.c. risulta che:
– salvo diversa pattuizione, gli interessi sono dovuti dal mutuatario nella misura legale (attualmente «fissata al 2,5% in ragione dell’anno, con decorrenza dal 1° gennaio 2012» dal D.M. 12 dicembre 2011);
– ciò non di meno, le parti possono in via convenzionale pattuire una misura superiore a quella legale, purché ciò avvenga per iscritto (pena l’applicazione del saggio legale di interesse [5] ) e il tasso convenuto non sia qualificabile come “tasso usurario” (pena la non debenza di interessi [6] ).
Dal punto di vista contabile, nel momento della concessione da parte di un socio di una somma a titolo di finanziamento (in)fruttifero, la scrittura da contabilizzare è:
Banca X c/c a Socio A c/finanziamento (in)fruttifero
Nel primo caso (finanziamento fruttifero), al momento del pagamento di interessi a soci, la scrittura da fare è:
Interessi passivi a Banca X c/c
Nel caso in cui gli interessi siano corrisposti ad un socio persona fisica residente in Italia la scrittura sarà, invece:
Interessi passivi a Diversi
Banca X c/c
Erario c/ritenute
Infine, nel momento della restituzione (anche parziale) del finanziamento ricevuto, la scrittura da realizzare sarà:
Socio A c/finanziamento (in)fruttifero a Banca X c/c
I versamenti in conto capitale
I versamenti effettuati dai soci senza obbligo di restituzione da parte della società rappresentano per quest’ultima delle attribuzioni patrimoniali a titolo definitivo e, in quanto tali, concorrono a formare il patrimonio netto della medesima.
Da un punto di vista contabile i versamenti de quibus vanno allocati nel passivo dello Stato Patrimoniale, nelle voci A.I “Capitale” oppure A.VII “Altre riserve, distintamente indicate”.
Qualora il versamento senza obbligo di restituzione venga effettuato senza una specifica finalità, si è in presenza di un cd. “versamento a fondo perduto” o “versamento in conto capitale”, fattispecie che si qualifica come un’elargizione atipica poiché la stessa non ha causa di mutuo (stante l’assenza dell’obbligo di restituzione) né causa donandi (mancando, invece, due elementi essenziali del contratto di donazione, quali l’animus e la forma). Tali versamenti sono definiti dal Consiglio Nazionale del Notariato [7] come «apporti patrimoniali effettuati dai soci nei confronti della società al fine di dotarla di ulteriore capitale di rischio senza sottoporre le somme relative al regime vincolistico proprio del capitale; è pacificamente ammessa la utilizzabilità di tali somme per ripianare le perdite o per aumentare gratuitamente il capitale».
Dal punto di vista delle scritture contabili, nel caso di versamenti a fondo perduto la scritturazione da iscrivere in contabilità generale è :
Banca X c/c a Riserva per versamenti in conto capitale
Nel caso in cui il versamento venga, invece, effettuato con un preciso vincolo di destinazione, la dottrina ha tipizzato le seguenti situazioni:
• “versamenti in conto aumento di capitale”, cioè versamenti dei soci che intervengono nel periodo compreso tra la delibera di aumento del capitale sociale e l’iscrizione nel registro delle imprese dell’avvenuta sottoscrizione delle azioni di nuova emissione;
Le scritture da contabilizzare nella fattispecie in esame sono le seguenti:
all’atto della sottoscrizione e del contestuale versamento da parte dei soci:
Banca X c/c a Riserva per versamenti in conto aumento di capitale
All’atto, invece, dell’iscrizione dell’avvenuta sottoscrizione presso il Registro delle imprese:
Riserva per versamenti in conto aumento di capitale a Capitale sociale
• “versamenti in conto futuro aumento di capitale”, ossia «somme che vengono corrisposte da uno o più soci alla società come anticipazione sulla liberazione di un futuro aumento oneroso del capitale » [8] . Detti versamenti sono inquadrabili come proposte unilaterali irrevocabili ex art. 1329 c.c. di aumento del capitale fatta dal socio alla società, accompagnate dal versamento della somma necessaria a liberare le azioni che spetteranno al socio in sede di aumento del capitale. Essi possono essere eseguiti da tutti i soci in proporzione alla rispettiva partecipazione ovvero soltanto da alcuni di essi;
Dal punto di vista delle scritture contabili, nel momento del versamento dei soci la scritturazione da effettuare è:
Banca X c/c a Riserva per versamenti in conto futuro aumento di capitale
All’atto, invece, dell’iscrizione dell’avvenuta sottoscrizione presso il Registro delle imprese, la scrittura da fare è:
Riserva per versamenti in conto futuro aumento di capitale a Capitale sociale
• “versamenti in conto copertura perdite”, vale a dire versamenti che i soci effettuano in favore della società a titolo definitivo, a seguito del palesarsi di perdite di esercizio, nell’ottica specifica della loro utilizzazione ai fini della copertura delle perdite medesime.
In questo caso, la scrittura di contabilità generale sarà :
Banca X c/c a Riserva per versamenti in conto copertura perdite
Disciplina fiscale
Nel presente paragrafo viene compendiato l’esame della disciplina fiscale dei versamenti effettuati a diverso titolo dai soci, con specifico riferimento ai seguenti ambiti impositivi:
1) imposizione diretta (sia in capo al socio che alla società);
2) IRAP;
3) IVA;
4) imposta di registro.
Come accennato in premessa, la prassi dei versamenti dei soci ha avuto origine anche in conseguenza della normativa agevolativa contenuta nell’art. 43 del DPR 597/1973, che negava la presunzione di interesse per le somme versate dai soci alla società in conto capitale.
Tale norma tributaria prevedeva, tra l’altro, che, i versamenti fossero effettuati con il consenso di tutti i soci i quali provvedevano in proporzione alle rispettive quote di partecipazione.
Tuttavia, con l’introduzione dell’art. 46 del DPR n. 917/1986 (“TUIR”), il legislatore fiscale ha profondamente innovato la normativa in materia eliminando, sostanzialmente, la necessità di una previa deliberazione formale dell’assemblea nonché la proporzionalità tra i versamenti dei soci, in tal modo facendo decadere la presunzione che le somme siano conferite a titolo di prestito oneroso e, dunque, produttive di interessi.
In sintesi, in virtù della predetta normativa, «le somme versate alla società commerciali […] dai loro soci […] si considerano date a mutuo se dai bilanci […] di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo».
Nel proseguio verranno affrontate le tematiche impositive con riferimento agli ambiti sopra enumerati.
Imposizione diretta
Ai fini dell’imposizione diretta (IRPEF ed IRES) occorre prioritariamente differenziare la disciplina applicabile al socio finanziatore da quella relativa alla società finanziata.
Disciplina fiscale per il socio finanziatore
Gli elementi che assumono rilevanza ai fini della determinazione della discilpina fiscale applicabile in capo al socio finanziatore sono (i) la presunzione di fruttuosità dei finanziamenti concessi alla società e (ii) la rinuncia del socio alla restituzione del finanziamento.
In particolare, gli interessi attivi corrisposti dalla società al socio relativamente a finanziamenti fruttiferi vanno assoggettati a tassazione come (i) redditi d’impresa, se i percipienti sono soggetti imprenditori ovvero (ii) come redditi di capitale, se percepiti al di fuori dell’esercizio dell’attività d’impresa (ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. a), del TUIR). In tale ultimo caso, in capo al percepiente sorge l’obbligo di dichiarazione annuale dei redditi nonché trova applicazione una ritenuta:
– a titolo di acconto nella misura del 20%, se il socio percipiente è fiscalmente residente nel territorio nazionale;
– a titolo di imposta nella misura del 27% se, viceversa, il socio risiede all’estero.
Nel caso di rinuncia al credito da parte del socio in sostanza il socio attribuisce a titolo definitivo alla società una somma che quest’ultima era altrimenti tenuta a restituire al socio medesimo.
Al fine di inquadare correttamente la fattispecie in discussione, si premette che, dal punto di vista contabile, l’operazione comporta, nelle scritture della società, un mero giroconto – dal passivo al patrimonio netto – dell’importo che la società aveva originariamente contabilizzato come debito verso il socio e che, per effetto della rinuncia del socio, si trasforma in un’attribuzione definitiva del socio alla società, da iscrivere nel patrimonio netto di quest’ultima.
Dal punto di vista delle scritture contabili, nel caso di rinuncia al fine di coprire eventuali perdite sofferte, la scrittura da fare è:
Diversi a Riserva per versamenti in conto copertura perdite
Socio A c/finanziamento (in)fruttifero
Socio B c/finanziamento (in)fruttifero
Dal punto di vista fiscale, la rinuncia da parte del socio può essere assimilata ad un conferimento, ragione per cui, ai fini delle imposte dirette, per il socio costituisce un incremento del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, senza peraltro dare luogo ad una sopravvenienza passiva deducibile.
In dettaglio, nel caso in cui il socio finanziatore svolge attività d’impresa, la disciplina che trova attuazione è quella dettata dagli artt. 101, comma 7, e 94, comma 6, del TUIR. In particolare, ai sensi del combinato disposto delle citate disposizioni, in caso di rinuncia, le somme versate non sono ammesse in deduzione dal reddito d’impresa, andando, invece, ad incrementare il costo fiscale della partecipazione posseduta dal socio medesimo.
Nel caso la rinuncia provenga da parte di un socio non imprenditore, trova applicazione unicamente la disciplina di cui all’art. 94, comma 6, del TUIR, sicché il finanziamento costituisce una posta incrementativa del costo della partecipazione e, in caso di cessione della partecipazione, si verrebbe a determinare una minore base imponibile da assoggettare a tassazione.
Disciplina fiscale per la società finanziata
I medesimi fattori sopra indicati – natura fruttifera e possibilità di rinuncia da parte del finanziatore – assumono, altresì, rilevanza al fine di delineare il trattamento fiscale dei finanziamenti in capo alla società destinataria dei medesimi. Infatti, gli interessi passivi corrisposti al socio sono deducibili dalla società percipiente nei limiti previsti dall’art. 96 del DPR 917/1986, mentre la rinuncia del socio alla restituzione di tali finanziamenti genera una sopravvenienza attiva.
Nel seguito vengono forniti taluni approfondimenti su ciascuna delle predette situazioni.
Come anticipato in apertura, l’art. 46 del TUIR contiene, al comma 1, una disposizione di natura presuntiva, secondo la quale, ai fini delle imposte sui redditi, le somme versate dai soci alla società si considerano date a mutuo, ergo fruttifere di interessi.
Affinché tale presunzione operi è necessario, però, che dai bilanci non risulti che il versamento sia stato fatto ad altro titolo, per cui si ritiene che possa ritenersi decisiva in favore della natura fruttifera l’eventuale iscrizione dei finanziamenti nel Passivo di bilancio, alla voce “Debiti verso soci per finanziamenti”.
Viceversa, l’eventuale appostazione in conti quali “Versamenti in conto (futuro) aumento di capitale” o “Versamenti in conto capitale” impedisce che operi la sopra citata presunzione, sicché le somme versate dai soci non possono essere trattate alla stregua di denaro preso a mutuo.
Con riguardo alla misura degli interessi passivi che la società mutuataria si trova a dover corrispondere ai soci mutuanti, l’art. 45, comma 2, del TUIR, prevede che «per i capitali dati a mutuo gli interessi, salvo prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto» e che «se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio legale» di cui all’art. 1284 c.c. con il quale è, inter alia, attribuita al Ministro dell’economia e delle finanze la possibilità di modificare con cadenza annuale (entro il 15 dicembre), la misura del tasso di interesse legale, tenendo conto (i) il rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata limitata ad un periodo massimo pari a 12 mesi e (ii) il tasso di inflazione registrato nell’anno.
Al riguardo, si rappresenta che allo stato, il D.M. 12 dicembre 2011 ha fissato il saggio legale di interesse al 2,5% e si fornisce, altresì, uno schema riepoligativo dei tassi legali a far data dal 1990 [9]:
Irap
Per effetto del combinato disposto degli artt. 5 e 11 del D.Lgs. 446/1997, l’IRAP si determina applicando la relativa aliquota proporzionale (attualmente pari, nella misura canonica, al 3,9%) ad una base imponibile costituita (fatte salve le specifiche esclusioni ivi indicate) dalla differenza tra «il valore e i costi della produzione di cui alle lett. A) e B) dell’art. 2425 del codice civile».
Da quanto sopra, discende che i finanziamenti dei soci, ed in particolare gli interessi ai medesimi connessi, non influenzano la base imponibile IRAP, in quanto classificabili nella voce C.17 – “Interessi ed altri oneri finanzari, con separata indicazione di quelli da imprese controllate e collegate e di quelle controllanti” – del Conto economico.
IVA
I finanziamenti con obbligo di restituzione concessi alla società da parte dei soci, riconducibili allo schema giuridico del contratto di mutuo, sono operazioni non soggette all’imposta sul valore aggiunto.
Con specifico riferimento alla posizione del socio finanziatore che svolga attività imprenditoriale si segnala, infatti, che, in linea di principio, la prestazione di servizi resa in favore dell’impresa mutuataria da un mutuante che agisce nell’esercizio di un’impresa costituirebbe un’operazione rilevante ai fini del tributo, ai sensi dell’art. 3, comma 2, n. 3), del DPR n. 633/1972, a mente del quale costituiscono, intar alia, «prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo: […] i prestiti di denaro […]».
L’imposta, tuttavia, non trova concreta applicazione, in quanto l’art. 10, comma, n. 1), del sopra citato decreto IVA configura come esenti dall’imposta «le prestazioni di servizi concernenti […] le operazioni di finanziamento [..]».
Avuto, invece, riguardo, gli eventuali mutui concessi alla società da soggetti non esercenti attività di impresa, l’operazione risulta al di fuori dell’ambito di applicazione del tributo in esame, per carenza del presupposto soggettivo richiesto dal combinato disposto dagli artt. 1 e 4 del DPR 633/1972.
Imposta di registro
L’imposta in argomento entra in gioco nell’ipotesi in cui il versamento del socio con obbligo di restituzione da parte della società avvenga mediante stipulazione di un contratto di mutuo nel quale in veste di mutuataria figuri una società commerciale. Nella predetta circostanza possono, infatti, configurarsi due fattispecie, che si differenziano per il fatto che il mutuante sia o meno un’impresa commerciale.
Nel primo caso (socio finanziatore imprenditore) la concessione del mutuo, come visto in precedenza, rappresenta un’operazione soggetta all’IVA, ancorché esente ai sensi del richiamato art. 10 del DPR 633/1972, sicché il relativo contratto sconta l’imposta di registro, peraltro solo in caso d’uso, nella misura fissa di € 168.
Nella seconda fattispecie (socio finanziatore non esercente attività di impresa) il contratto di mutuo è soggetto a registrazione nel termine fisso di venti giorni dalla stipula e sconta l’imposta proporzionale, nella misura del 3%, in base al disposto dell’art. 9 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/1986, concernente tutti gli «atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale». Il descritto trattamento trova, però, un’eccezione, poiché nel caso in cui l’atto venisse posto in essere sotto forma di corrispondenza commerciale, l’imposta sarebbe dovuta solo in caso d’uso.
[4] Nel caso in cui il registro soci non sia istituito è necessario verificare che il socio risulti tale presso il Registro delle imprese.
[5] Cfr. art. 1284, comma 3, c.c..
[6] Cfr. art. 1815, comma 2, c.c..
[7] Cfr. lo studio n. 3658 approvato dalla Commissione Studi Civilistici in data 11 dicembre 2011.
[8] Cfr. studio n.3658 del Consiglio Nazionale del Notariato.
[9] Tabella estratta da ”Finanziamenti e versamenti dei soci a favore della società” – ed. IPSOA.
[10] Come precisato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 19/E del 21 aprile 2009, rientra nell’ambito applicativo della disciplina ”qualunque interesse (od onere ad esso assimilato) collegato alla messa a disposizione di una provvista di danaro, titoli o altri beni fungibili per i quali sussiste l’obbligo di restituzione e in relazione ai quali è prevista una specifica remunerazione”.
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