L’art. 1226 c.c. stabilisce che se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, viene liquidato dal giudice con valutazione equitativa.
Affinché si dia luogo alla valutazione equitativa è necessario che la presenza di un danno risarcibile risulti provata o comunque incontestata, benché il ricorso a tale tipo di quantificazione sia stato ritenuto configurabile dalla giurisprudenza anche allorché gli elementi dimostrativi forniti dal danneggiato manchino di sicura efficacia probatoria [Cass. 22.5.1979, n. 2972].
Non si procede ovviamente a tale valutazione ove il danno possa essere provato, nel suo preciso ammontare, tramite consulenza tecnica.
Il risarcimento in forma specifica, che consiste nel ripristino della situazione così come era prima che avvenisse l’illecito, è previsto dall’art. 2058 c.c.
Tale norma prevede che il danneggiato possa chiedere il risarcimento in forma specifica, solo qualora sia possibile anche se solo parzialmente.
Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, vale a dire in denaro, se la suddetta reintegrazione risulti eccessivamente onerosa per il debitore, laddove cioè l’impegno economico comportato da quest’ultima superi l’ammontare della somma corrispondente alla diminuzione del patrimonio subita dal danneggiato per effetto dell’illecito.
Rientrano nel concetto di risarcimento in forma specifica la prestazione di cosa uguale a quella distrutta, il rifacimento di quanto illecitamente disfatto e l’eliminazione di quanto fatto illecitamente.
1 Gennaio 1970
In quali ipotesi il danno viene valutato in via equitativa e quando è possibile il risarcimento in forma specifica?
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