La Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 10600 del 22 maggio 2015, si è pronunciata riguardo alla legittimità del diniego di rimborso dell’Irap versata da una società in nome collettivo.
In primo e secondo grado era stata data ragione alla contribuente, che si occupava di servizi professionali e tecnici nel settore edile, in quanto era stato riconosciuto il mancato svolgimento di un’attività autonomamente organizzata.
In particolare, la Commissione Tributaria Regionale aveva sostenuto che l’assenza dell’organizzazione trovava il proprio fondamento nella circostanza che la contribuente disponeva di “un corredo minimale di strumenti” senza il quale non avrebbe potuto svolgere la propria attività. La contribuente, inoltre, era priva di lavoratori dipendenti e di collaboratori.
L’Agenzia delle Entrate aveva, invece, rilevato che i Giudici d’appello avevano erroneamente trascurato che l’attività esercitata da società ed enti costituisce in ogni caso presupposto d’imposta. Le società in nome collettivo sono, quindi, sempre soggetti passivi.
La Corte di Cassazione ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate. La Cassazione ha, infatti, confermato che risulta violato il principio, pienamente consolidato nella propria giurisprudenza, secondo il quale l’attività svolta dalle società commerciali costituisce in ogni caso presupposto d’imposta. L’elemento organizzativo è, infatti, connaturato alla nozione stessa d’impresa.
Così come, la Cassazione ha ricordato che l’esercizio in forma associata, anche di una professione liberale, costituisce presupposto dell’imposta, prescindendosi completamente dal requisito dell’autonoma organizzazione.
La Cassazione ha, quindi, accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassato la pronuncia impugnata e rigettato la domanda originaria presentata dalla contribuente.