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10 Ottobre 2014

Costi delle consulenze: ai fini della deducibilità, deve essere fornita opportuna prova della inerenza e della coerenza economica

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La Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 21184 dell’8 ottobre 2014, si è pronunciata riguardo alla questione della deducibilità delle spese per consulenze da parte delle imprese.

La società contribuente, nel caso di specie, aveva ricevuto un atto dell’Agenzia delle Entrate con il quale erano stati ripresi a tassazione dei costi relativi ad attività di consulenza, giudicati indeducibili per difetto di inerenza. La contribuente aveva impugnato l’atto dell’Amministrazione finanziaria dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che aveva respinto il ricorso.

Aveva, quindi, proposto appello che era stato accolto dai Giudici di secondo grado. Nella pronuncia emessa a definizione del procedimento in appello, era stato rilevato che le prestazioni di consulenza dispensate dalla società capogruppo in favore della società contribuente erano regolate da un apposito contratto ed avevano effettivamente consentito alla contribuente di effettuare un’operazione di acquisizione societaria con notevole incremento del proprio volume d’affari.

La Commissione Tributaria Regionale aveva osservato che anche se la mancata descrizione delle concrete attività fatturate non consentiva all’Amministrazione finanziaria una verifica analitica dei costi sostenuti dalla società rispetto all’attività d’impresa, si doveva convenire che la società capogruppo aveva svolto a beneficio della società controllata un’attività di consulenza nell’ambito della gestione della partecipazione finanziaria che aveva consentito a quest’ultima il raggiungimento di risultati concreti.

Quindi, secondo quanto sostenuto nella pronuncia impugnata, era stata provata l’inerenza dei costi della consulenza e, pertanto, tali costi erano da considerarsi deducibili.

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la pronuncia della CTR, rilevando che non era stato considerato che le fatture relative all’attività di consulenza si caratterizzavano per l’indicazione generica delle prestazioni. Inoltre, l’attività di consulenza era regolata da un contratto di assistenza tecnico commerciale di appena dieci righe. Vi erano, poi, molti altri elementi dai quali emergeva legittimamente il sospetto del carattere elusivo dell’operazione.

La Suprema Corte ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate. In particolare, ha evidenziato che dalla normativa in materia risulta che i costi, per essere ammessi in deduzione quali componenti negativi del reddito d’impresa, devono soddisfare i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

Quindi, affinché un costo possa essere incluso tra le componenti negative di reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre anche che ne sia provata l’inerenza, vale a dire che si tratta di una spesa che si riferisce ad un’attività dalla quale derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa.

E’, quindi, importante che sia rispettato il principio di inerenza, ossia il principio della riferibilità dei costi, che si intendono dedurre, ai ricavi.

La prova dell’esistenza e dell’inerenza dei costi incombe sul contribuente. Per la prova dell’inerenza non è sufficiente che la spesa sia stata riconosciuta e contabilizzata dal contribuente. Del resto, una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale soltanto se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi la ragione della stessa.

Quindi, la prova dei costi deducibili deve essere opportunamente documentata, in modo tale che dalla documentazione si possa ricavare l’inerenza del bene o del servizio acquistato all’attività imprenditoriale.

Inoltre, occorre anche dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, qualora sia contestata dall’Amministrazione finanziaria anche la congruità dei dati relativi ai costi ed ai ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni. In mancanza di tale prova, è legittima la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi ed all’oggetto dell’impresa.

La pronuncia dei Giudici di appello è stata, quindi, cassata e la Suprema Corte ha, altresì, deciso nel merito, respingendo il ricorso introduttivo presentato dalla contribuente.

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