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29 Maggio 2015

Accertamento induttivo: lo sbilancio tra ricavi e costi deve essere considerato nell’ambito della situazione complessiva concreta dell’impresa

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La Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 9973 del 15 maggio 2015, si è pronunciata riguardo ad un atto di accertamento induttivo emesso nei confronti di una società.

Le ragioni della contribuente erano state ritenute infondate sia in primo, che in secondo grado.

La Corte di Cassazione ha, invece, in parte, riconosciuto l’illegittimità dell’accertamento. In particolare, la Cassazione ha ribadito il principio, più volte enunciato, secondo il quale l’adozione del criterio induttivo impone all’Ufficio dell’Amministrazione finanziaria di utilizzare dati e notizie riguardanti il medesimo periodo d’imposta al quale si riferisce l’accertamento.

Il reddito relativo ad un’annualità d’imposta non può, infatti, essere desunto dal reddito conseguito in anni precedenti, in mancanza di uno stretto rapporto di deduzione logica.

Nell’accertamento induttivo, ogni periodo d’imposta è autonomo e manca la presunzione della costanza di redditività in anni diversi.

Inoltre, la Cassazione ha evidenziato che lo sbilancio tra costi e ricavi, senza che sia dato risalto allo stato economico dell’impresa ed alla presenza di caratteristiche (come la stranezza, la singolarità ed il contrasto con elementari regole economiche e di esperienza), non è di per sé tale da essere immediatamente percepito come inattendibile, secondo il senso comune.

Secondo la Cassazione, nella pronuncia d’appello era stato trascurato completamente l’approfondimento di alcuni dati pacifici, come la sofferenza derivante dalle notorie difficoltà del maggiore committente del settore nel quale operava la società contribuente (il gruppo Fiat) e l’infausta evoluzione del ciclo economico che aveva portato, in pochi anni, la società medesima al tracollo ed al fallimento.

Era anche stata trascurata, sia sul piano logico che su quello delle circostanze, la discesa del volume d’affari che si era verificata negli anni per la contribuente.

La Cassazione ha evidenziato che l’elemento dell’incremento del personale e degli acquisti per materie prime, che era stato enfatizzato dall’Amministrazione finanziaria, nella difesa del proprio atto di accertamento, e dai Giudici d’appello, avrebbe dovuto essere adeguatamente valutato nell’ambito della situazione aziendale complessiva. Poteva trattarsi di una scelta, poi rivelatasi errata, posta in essere nel tentativo di conquistare delle migliori posizioni di mercato. Non poteva essere considerato automaticamente un indicatore patologico di un maggiore reddito.

La Cassazione ha, quindi, rinviato ad un nuovo esame della controversia da parte della Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione, che dovrà essere effettuato in modo tale da garantire un approfondimento della concreta realtà della contribuente.

 

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